Reggio Calabria

A Brancaleone il workshop “Scienza pandemia e condizione umana, la modernità interrotta”

Un interessante e attuale workshop si è svolto sabato scorso presso la Dimora del confino di Cesare Pavese a Brancaleone, organizzata dalla Pro Loco, dal suo presidente Carmine Verduci e da Alessandra Moscatello.

Il tema: La modernità interrotta. Scienza pandemia e condizione umana, ha visto intervenire, dopo i saluti del sindaco Silvestro Garoffolo e del proprietario della Dimora del confino di Cesare Pavese, Tonino Tringali, il professore Giuseppe Avena che insegna Statistica Sociale presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina, il dottore Vincenzo De Angelis, medico ed esperto di storia del territorio, e il professore Raffaele Manduca del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina, su alcuni aspetti di una dinamica pandemica che ha toccato in maniera profonda l’intero pianeta ed è ancora ben lungi dall’essere dietro le nostre spalle.

Il professor Avena, sulla scorta di uno studio presentato in una importante rivista scientifica internazionale cui ha partecipato, ha evidenziato le conseguenze psicologiche di questo anno e mezzo di lockdown, spesso derubricate a realtà di secondo piano rispetto alle questioni più propriamente fisico-sanitarie, mostrandone l’impatto devastante per fasce enormi di popolazione e richiamando il bisogno di un’attenzione ben altrimenti consistente delle autorità.

Il dottor Vincenzo De Angelis ha fatto alcuni pertinenti e puntuali riferimenti alle vicende storico-pandemiche del territorio reggino, mettendo in evidenza la necessità di affrontare le pandemie e facendo anche appello alle stesse competenze medico-sanitarie presenti in ciascun territorio che possono fare la differenza rispetto a politiche centralizzate che rischiano di non avere il polso vero delle situazioni nelle diverse aree del nostro paese.

Il professor Manduca infine, dopo un rapido excursus storico sulle principali epidemie a partire da 6500 anni fa, ha riflettuto sul perché il Covid-19 sia stato percepito in maniera così drammatica e diversa rispetto a epidemie altrettanto, se non ben altrimenti virulente, con cui l’umanità ha dovuto confrontarsi nel passato, evidenziando le differenze sociali ma, soprattutto, le nuove attese culturali scientifiche e antropologiche rispetto al passato: una illusoria attesa di una prossima divinizzazione dell’umano, messa definitivamente in crisi da un piccolo virus che ci ha riportato al nostro stato naturale di fragilità che già Seneca definiva come la condizione propria dell’umano: la condizione umana stessa.

 

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