Calabria

Calabria: nota stampa di Maria Concetta Valotta sulle leggerezze in tema di sanità e di pianificazione ambientale e territoriale

maria concetta valotta

Le troppe leggerezze in tema di sanità e di pianificazione territoriale ed ambientale, alle quali gli italiani, sgomenti ed angosciati sono costretti ad assistere, ci inducono a rispolverare il titolo del noto libro di Milan Kundera, che tuttavia da romanzo cult del genere “rosa” assumerebbe oggigiorno i caratteri letterari del noir, della Spy story, se non addirittura del thriller psicologico.

Diviene drammatico assistere e apprendere di quanta leggerezza, superficialità, pressappochismo, approssimazione, negligenza, spuntano come sinonimi necessari per cercare di definire, di comprendere, di arguire cos’è accaduto nella psiche di chi è stato in questi ultimi anni, chiamato e pagato a pianificare la nostra vita, ad assumersi la responsabilità della condotta e dei destini della salute, della vita di un’intera Nazione.

Signori, non stiamo discutendo se fosse stato meglio comprare palloncini o cappellini per una festicciola di compleanno. Si dovrebbe con la giusta determinazione fare luce e portare a conoscenza di 60 milioni di italiani, per quali ragioni abbiamo lautamente stipendiato con denaro pubblico, dotti, medici e sapienti, per affidar loro la nostra sorte e adesso, come accade soltanto quando c’è una grave emergenza, saltano fuori, balzano agli onori delle cronache, fatti e fattacci, crimini e misfatti.

Da mesi ci si barcamena, tra nascondimenti, sbugiardamenti, rimbalzi di accuse e di scarica barili. La realtà difficile da ammettere e da digerire è che, giunti al fatidico febbraio 2020, la comunità scientifico-sanitaria italiana aveva in dotazione un piano pandemico obsoleto ed una bozza di aggiornamento totalmente inadeguata.

Se il Coronavirus ha colpito così duramente per numero di decessi il nostro Paese, non si potrà negare che ciò sia imputabile al fatto di essere arrivati più impreparati e confusi che mai, al di là di ogni più romanzata immaginazione. E proprio su questi foschi aspetti che ora, inchieste giornalistiche e giudiziarie stanno tentando di fare ordine e luce.

Eppure la denuncia sull’assenza di un piano pandemico adeguatamente aggiornato in Italia, era stata avanzata lo scorso settembre, da Stefano Merler, ricercatore della Fondazione Bruno Kessler di Trento, il quale aveva sollevato la questione di disporre di un piano emergenziale vecchio di 12 anni. «Abbiamo pagato un prezzo altissimo per non aver aggiornato il piano pandemico per tutto questo tempo», aveva detto in un’intervista a la Repubblica.

Tuttavia lui stesso, negli anni in cui lavorava nel Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (CNESPS), aveva elaborato con altri ricercatori dei modelli di risposta matematici che avrebbero potuto dare risposte automatiche alle minacce epidemiologiche, a seconda dei territori interessati ed in base a parametri ben precisi e calcolati. Merler, autore del famoso “Piano anti-Covid” mantenuto secretato dal governo durante la prima ondata, è ora stato finalmente sentito come persona informata sui fatti dai magistrati di Bergamo.

Come testimoniano altri ricercatori che ai tempi lavoravano nel Centro, quando nel 2014 Ricciardi divenne presidente dell’Istituto Superiore della Sanità «decise di depotenziare il CNESPS, disperdendone le competenze tra le varie strutture dell’Istituto» per poi, nel 2015, smantellarlo definitivamente.

Secondo quanto raccontato più volte dall’ex direttrice Stefania Salmaso, nel novembre 2006 il Gruppo di ricerca aveva creato un modello matematico-organizzativo funzionante ai fini di «attuare, in caso di pandemia, gli interventi medici e sociali necessari a fronteggiare l’emergenza».

Un modello «in grado di approfondire gli aspetti legati all’eventuale diffusione di una nuova pandemia, non solo in termini di casi attesi, ma anche valutando l’impatto degli interventi delineati nel nuovo Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale».

Tutto ciò frutto di validissimi studi ed approfondite ricerche previsionali, è stato disconosciuto, obliato ed allo stato attuale quasi rinnegato dalla politica e dalla comunità scientifica.

La correlazione di una serie di scelte sbagliate e leggerezze cervellotiche, è oggi sotto gli occhi di tutti. Non bisogna dimenticare, in aggiunta, un altro importante studio, quello dell’ex generale Pier Paolo Lunelli, responsabile della Scuola Interforze per la Difesa NBC specializzata nel formare il personale militare e ministeriale al contrasto di minacce biologiche, chimiche e radiologiche.

Il suo dossier in cui vengono riportate ed esplicitate le numerose criticità e le possibili conseguenze di un mancato aggiornamento del piano epidemico in Italia è ora nelle mani dei PM di Bergamo che indagano sulla gestione della pandemia durante la prima ondata.

Nell’analisi di Lunelli, viene messa, nero su bianco, la correlazione tra l’obsolescenza inadeguata del piano italiano e il numero di morti sommatisi nei mesi tra febbraio e maggio 2020. «La carente pianificazione dell’emergenza pandemica nazionale scrive nelle sue conclusioni ha precluso una corretta gestione sin dal momento del suo manifestarsi, probabilmente aprendo le porte al virus che è dilagato generando un altissimo tasso di mortalità nella regione Lombardia (più di 1600 vittime per milione di abitanti)».

Dall’altra c’è Walter Ricciardi, consigliere del Ministero della Salute, che avrebbe contribuito allo smantellamento del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, di cui gli esperti avevano progettato modelli matematici di risposta alle epidemie. Guerra e Ricciardi, due figure chiave nella gestione della pandemia in Italia, devono ora fare i conti con delle ombre non indifferenti che parrebbero cadere sul loro operato.

Esiste in conclusione, una bozza della revisione del Piano nazionale pandemico risalente all’11 aprile del 2019, dalla quale non si denota la qualità migliorativa dell’aggiornamento che l’Italia era intenzionata a fare sul Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale.

Il testo arriva nelle mani di Robert Lingard, responsabile della Comunicazione del Comitato “Noi Denunceremo”, che rappresenta e dà voce ai familiari delle persone decedute a Bergamo durante la cosiddetta prima ondata. Dopo un’attenta analisi, il Comitato lo consegna nella mani della Procura di Bergamo, che si sta occupando, tra le altre cose, di individuare i colpevoli per la mancata istituzione della zona rossa nei paesi di Alzano e Nembro.

Il loro interesse sulla questione è massimo: per capire se ci siano o meno responsabilità penali per quanto accaduto (e cioè per le migliaia di morti registrate in pochi mesi nel bergamasco), i magistrati devono capire se esisteva o meno un piano pandemico nazionale a cui i politici avrebbero potuto adeguarsi.

Intanto sono due le cose che emergono dal confronto tra il vecchio piano e la revisione che si voleva discutere ad aprile. La prima è che le modifiche e gli aggiornamenti non sono mai stati attuati. La seconda è che contenevano unicamente «linee guida generiche molto distanti da quello che dovrebbe essere un piano pandemico».

Come spiegano dal Comitato, la bozza di revisione non è altro che la traduzione in italiano della check list redatta dall’Oms nelle indicazioni per i piani.

La vicenda recente del Generale Cotticelli che lo ha visto protagonista in negativo delle tristissime contorsioni della sanità calabrese, non risulta essere l’unica negligenza nazionale a quanto si denota! In realtà nemmeno a livello centrale c’è mai stato un piano operativo, tanté che l’urgenza di convocare una riunione per revisionare il piano di lavoro pandemico l’11 aprile 2019, la dice lunga sull’inadeguatezza dello strumento precedente che era stato aggiornato l’ultima volta nel 2017.

La domanda rimane aperta anche se si fa sempre più diffusa l’ipotesi che non esistesse quell’aggiornamento necessario poiché il piano da aggiornare a cui si fa riferimento è quello del 2006. Nessuno fa mai riferimento a quello del 2017. Questa è la conferma che il piano che stavano rifacendo era quello di quattordici anni fa.

E né quel piano, né la recente bozza di revisione contengono la parte operativa derivante dalle esercitazioni richiesta dall’Oms» cioè dei veri e propri calcoli delle necessità sulla base della densità dei vari territori.

Ad esempio, per quanto concerne i dispositivi: quante mascherine stoccare per un’epidemia che dura quattro mesi? Quante per una che dura di più o di meno? Quante ne servono per la dotazione delle RSA e per le forniture necessarie ai medici di base? O ancora: in base alla distribuzione della popolazione sul territorio, quanti laboratori di analisi dovrebbero essere destinati a processare i tamponi?

Quanti reagenti tenere in stock? Quanti posti letto servono e quante terapie intensive? Domande lapalissiane mai poste, tuttavia, in nessuna versione del testo!

L’insostenibile leggerezza dell’essere.
Maria Concetta Valotta

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