Italia

“Next Generation Eu”: è la proposta di piano economico, presentata dalla Commissione UE per approntare la ripresa dall’emergenza

Maria Concetta Valotta

Ci capita spesso, ormai da diverso tempo, di parlare o sentir parlare del rapporto tra l’Italia e l’Europa. Riflettendo bene, però, siamo davanti ad una aporia, quella che i Romani chiamavano una “contradictio in terminis”.

L’Italia fin dalla creazione dell’ Euratom, della Cee e del Mercato Comune, è parte integrante, ma probabilmente, non sufficientemente integrata, dell’Unione Europea, o per rendere molto meglio l’idea, della COMUNITÀ europea.

I fondi europei sono a tutti gli effetti capitali già nostri e non vanno considerati dei donativi da parte degli Stati ricchi al fratello povero, ma sono dei trasferimenti centrifughi che vanno a sostenere i segmenti attualmente vacillanti. Tuttavia, la domanda è d’obbligo: questa circolazione monetaria come e quando arriverà dal cuore pulsante dell’economia ai capillari periferici attualmente in debito d’ossigeno?

“Next Generation Eu” è la proposta di piano economico, presentata dalla Commissione UE, per approntare la ripresa dall’emegenza a più livelli, provocata dal Coronavirus. Si tratta di un progetto che prevede la disponibilità di circa 750 miliardi di euro, di cui 500 saranno trasferimenti a fondo perduto e 250 di prestiti che dovranno essere restituiti entro il 2058.

All’Italia, in quanto nazione Ue maggiormente danneggiata dalla pandemia, sarà destinata la quota più alta, per cimplessivi 172,7 miliardi di euro, di cui 82 sotto forma di contributi a fondo perduto, senza obbligo di restituzione, seguita a ruota, dalla Spagna, cui toccheranno 140,4 miliardi di euro. Ma, a questo punto si ci chiede come e quando arriveranno questi agognati fondi e come saranno resi disponibili?

Il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha dichiarato lapalissianamente che da questa crisi, l’Europa deve uscire «facendo un balzo in avanti, tutti insieme».

Ed ha chiarito che le nuove risorse messe in atto dalla Commissione, saranno un debito comune, rientrante nel bilancio europeo. Esso probabilmente si rifinanzierà andando a gravare, atteaverso un maggiore prelievo fiscale sulle realtà economiche emergenti come i colossi digitali che saranno tenuti a versare all’erario, svariati milioni di utili. Attualmente l’Unione si finanzia per il 69% con i contributi degli Stati membri, calcolati in proporzione al loro RNL (reddito nazionale lordo).

Per il 13% contribuiscono i dazi doganali e l’imposta sullo zucchero. Poi, abbiamo per il 12% una percentuale dell’Iva raccolta dagli Stati. Infine, per il restante 6%, su altre voci quali: le tasse sui salari del personale pubblico comunitario, infine su temporanei contributi di alcuni Stati extra Ue. Poi, abbiamo gli interessi di mora e le multe comminate dall’Antitrust, rientranti sempre in questa piccola percentuale.

Accanto alla reiterata conferma degli aiuti, la Von Der Leyen, puntualizza in ogni occasione, che l’erogazione dei prestiti non sarà dispensata senza alcun prezzo di marcato: Vi sono, in realtà vincoli di destinazione, nel senso che l’utilizzo di queste risorse non sarà incondizionato, bensì canalizzato verso precise direzioni di investimenti e sviluppo come la sanità e una maggiormente diffusa digitalizzazione dei Paesi ancora tecnologicamente carenti.

La Presidente della Commissione Europea, distante ideologicamente dai sovranisti, aveva giá manifestato una certa inerzia davanti alle grandi crisi internazionali e non sta recedendo dalla linea economica pro-austerità seguita dal governo europeo Junker, che l’aveva preceduta. Ella stessa, a riguardo ha sottolineato: «il bilancio europeo è sempre stato fatto di trasferimenti: non è una novità. Si tratta di trasferimenti per investimenti mirati e per le riforme, per una maggiore coesione e per una convergenza degli standard di vita in Europa».

Detto questo, però, bisognerà trovare un accordo nel Consiglio EU tra i vari capi di Stato, sul progetto presentato dalla Commissione, che è ancora al momento attuale, soltanto una mera proposta. Occorreranno negoziati, in vista della prima riunione, programmata per il 19 giugno, che molto probabilmente non sarà quella decisiva in quanto vanno considerate le decise resistenze di Austria, Danimarca, Olanda e Svezia.

L’esito finale, cioè l’accordo definitivo raggiunto all’unanimità tra gli Stati Membri, che darebbe il via libera al piano di aiuti, dovrebbe giungere auspicabilmente prima dell’estate.

A quel punto, i fondi non sarebbero ancora immediatamente utilizzabili poiché da quel momento, i destinatari dovranno stilare ciascuno il proprio programma di spese, seguendo le linee programmatiche indicate dall’Unione, per l’impiego delle risorse. In conseguenza di tutto quanto esposto, è ben difficile che l’Italia riuscirà ad avere accesso a queste nuove risorse prima del 2021.

Il tutto, considerati i tempi necessari per il raggiungimento dell’accordo politico e quelli necessari per individuare i progetti a livello nazionale. Quindi, per tener fronte all’emergenza, nel frattempo, occorrerà ricorrere all’acquisto dei titoli di Stato  della BCE che indirettamente finanzieranno o anticiperanno l’emissione del nuovo debito.

In alternativa, non potendo dilazionare ulteriormente l’attesa, bisognerebbe ricorrere alla disponibilità dei 37 miliardi del famigerato MES, che sul piano delle mere ipotesi, sarebbero già ad immediata disposizione.

Tuttavia, si tratterebbe, come già ampiamente accennato altrove, di un prestito da rimborsare a scadenza e non certo un trasferimento a fondo perduto del quale invece, l’Italia avrebbe attualmente un’urgenza imprescindibile.

Maria Concetta Valotta – segretario generale della Camera arbitrale della sussidiarietà territoriale

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